Yin yoga: l’arte della quiete

I benefici dello Yin Yoga

Il contesto teorico di riferimento dello Yin Yoga è quello della Medicina Tradizionale Cinese (MTC); in particolare, quello del sistema filosofico e pratico di lavoro sui canali energetici, Meridiani, messo a punto dallo psicologo e Maestro Shizuto Masunaga negli anni Settanta in Giappone. 

Masunaga diede allo Shiatsu (Zen Shiatsu) una connotazione fortemente legata alle antiche radici taoiste (Cina, VI sec. a.C.) e all’approccio filosofico del Buddismo Zen. Contribuì a rendere il suo shiatsu unico ed originale, trovando relazioni tra il sistema dei meridiani e gli aspetti mentali, emotivi e spirituali.

I meridiani corrispondono solo in parte a quelli della MTC e su di essi si basa lo Shiatsu maggiormente diffuso in Occidente, lo Zen Shiatsu.

Lo Yin Yoga fu introdotto in Occidente negli anni ’90 dal californiano Paul Grilley al fianco del maestro di arti marziali Paulie Zink. Poi in Giappone, al fianco del Dottor Motoyama, ricercatore e profondo conoscitore del flusso energetico dei meridiani.

“To go yin-side” vuol dire muovere l’energia dei corpi sottili (mentali, emotivi, spirituali) risvegliando le qualità nascoste, in ombra. Ed è lo stesso obiettivo, in fondo, di tutte le scuole o stili di yoga.

Tuttavia, nello yin yoga lo stimolo prodotto dal lungo mantenimento delle posizioni è diretto a tessuti più profondi rispetto al tessuto muscolare, ovvero al tessuto connettivo, tendini e legamenti, articolazioni, ossa. È diretto alla stimolazione e riequilibrio del flusso energetico del Prana (Qi per la medicina cinese) e alla rimozione di blocchi energetici, tensivi, circolatori, linfatici.

Il tessuto connettivo come via di comunicazione energetica

I tessuti connettivi sono ubiquitari, sono ovunque nel nostro corpo: sostengono, collegano e permettono il nutrimento degli organi. Garantiscono anche la corretta adesione degli altri tessuti che possono formare quegli stessi organi.  Collegano il sistema circolatorio a quello nervoso e a quello muscolare, etc…  Finora si era ritenuto che i tessuti connettivi fossero densi e compatti, ma uno studio pubblicato nel 2018 ha trovato che non è affatto così.

Ricercatori della New York University (Neil Theise e colleghi) hanno dimostrato su “Scientific Reports” che il tessuto connettivo ha una struttura ricca di compartimenti riempiti di liquido.

Più della metà dei fluidi corporei si trova all’interno delle cellule, e circa un settimo all’interno di cuore, vasi sanguigni, linfonodi e vasi linfatici.

Il fluido rimanete fra una cellula e l’altra è detto interstiziale. Lo studio effettuato considera gli spazi interstiziali alla stregua di un organo a sé stante. Per di più “uno dei più grandi del corpo”, dicono gli autori.

Nelle prime 7 settimane di vita, l’embrione non possiede un cervello; è il sistema fasciale a guidare lo sviluppo. Il sistema connettivo consente agli altri sistemi (nervoso, endocrino, e immunitario) di esistere, agire e comunicare fra loro. Inoltre, rappresenta un sistema indispensabile per lo sviluppo e la vita di tutti i componenti dell’organismo.

Esso è al contempo un sistema di comunicazione integrato quindi la struttura fisicamente e funzionalmente portante di essi e dunque della rete globale organica.

La rete, allora, riconoscerà i messaggi emessi da:

  • i circuiti cerebrali, attivati da emozioni, pensieri, oppure i circuiti nervosi vegetativi, attivati da sollecitazioni o da feedback di organi o sistemi;
  • gli organi endocrini o immunitari;
  • le tensioni meccaniche connettivali, tramite movimento e attivazione muscolare.

Il linguaggio è unico, il collegamento è integrato e a doppio senso di marcia.      

Gli squilibri causati dalle esperienze che la vita ci propone si ripercuotono immediatamente nel nostro corpo energetico e fisico. Se il problema non si risolve e diventa cronico, o l’impatto è stato traumatico, il flusso energetico è messo in difficoltà. Se il sintomo non riesce nell’intento di segnalare la difficoltà energetica sottostante e la cura che riceve riguarda solo l’aspetto fisico, il problema si interiorizza e vengono colpiti anche gli organi interni. In realtà, ogni sintomo del corpo fisico non ha la causa in sé stesso, ma è l’effetto visibile di una causa invisibile, perché energetica. 

La fascia connettivale risponde, contatta e riporta a galla la nostra vita passata ma è anche l’organo che struttura il nostro presente, reagendo a come e dove ci troviamo nello spazio in ogni istante.        

Nella pratica dello Yin Yoga esploriamo le diverse forme che possiamo assumere col nostro corpo evolvendo nella gamma di forme che possiamo contenere in noi, esploriamo l’immobilità, l’immutabile senso dell’essere che si esprime al nostro interno e che non ha forma. In altre parole, sviluppiamo l’enterocezione, la nostra capacità di sentire. È una consapevolezza interna soggettiva che “accade” e si manifesta nel momento in cui sentiamo un’emozione nel corpo, nel momento in cui l’emozione si incarna. Così, sentire rabbia, dolore, emozione, fatica, serenità significa percepire i segnali provenienti dai visceri, comunicati attraverso il nervo vago, attraverso il fitto sistema neuronale della fascia.

È un’immobilità che si auto ascolta e che ci permette di raggiungere uno spazio metafisico, uno spazio riservato dove possiamo vedere in modo chiaro e diretto, che può portarci a vedere oltre, nel tempo e nello spazio. La matrice fasciale, in qualità di organo sensoriale più esteso del corpo, viene invitata semplicemente a sentire il corpo, tornando a sé stessa come testimone. 

Il tessuto connettivo quale portale verso la coscienza

Nello Yin Yoga l’impiego del corpo, del respiro e della mente, dovrebbe compiere l’esperienza dell’abbandono, una sorte di arresa totale consapevole di tutti i contenuti condizionanti che ci dominano, fisici e non solo, al fine di divenire disponibili a perdere l’identità dentro la quale siamo arroccati, a favore del vuoto. La Coscienza, anche quella del corpo, emerge quando viviamo l’esperienza dentro uno spazio vuoto, incondizionato quindi atemporale, libero dunque creativo, persino quando l’esperienza è dolorosa.

Il viaggio della pratica yoga inizia nel piano tridimensionale per arrivare alla quarta dimensione, la Coscienza per ritornare e attraversare la tridimensionalità con una nuova, diversa, chiara, autentica visione e percezione di sé stessi e del mondo, che liberi e porti l’infinito nel finito.

Quando viviamo un’esperienza al cospetto della nostra Coscienza, siamo in grado di agire senza esitazione in modo opportuno, costruttivo, sano, puro ed evolutivo.

Riassumendo: lo yin yoga è una pratica quieta e semplice adatta a tutti ed è da considerarsi tra le migliori terapie cognitivo comportamentale di ultima generazione.  Ci offre un percorso di consapevolezza, agisce ad un livello multidimensionale (fisico, mentale ed emotivo): mette in primo piano la dimensione emozionale lavorando allo sviluppo di competenze non prettamente cognitive, come l’accettazione della sofferenza, l’auto-osservazione, la compassione verso sé e gli altri, l’osservazione non giudicante …

2 pensieri su “Yin yoga: l’arte della quiete

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